2/21 A Proposito di…

A proposito di

In un nostro articolo parlavamo dell’indifferenza e di quanto male faccia a un essere umano dimostrargli quanto sia invisibile agli occhi del mondo.

Spesso parliamo dell’esperienza che maturiamo giorno dopo giorno stando a contatto con gli emarginati di ogni specie, dai detenuti agli ex detenuti, agli immigrati, ai senza tetto, alle donne che hanno subito violenza.

Molte volte ci accorgiamo che chi ha vissuto in carcere anche “solo” per pochi anni, non appena viene a contatto con il mondo esterno e quindi con la luce, i colori, i profumi, i rumori, lo spazio aperto viene colpito da una specie di attacco di panico, l’incapacità di muoversi abilmente in uno spazio aperto e addirittura a deambulare in maniera corretta.

Inoltre, notiamo che la persona che ha subito il carcere non è cosciente di quello che è diventato, non ha contezza del fatto che sembra un alieno in terra.

Osservando questi comportamenti ci siamo chiesti perché Le Istituzioni permettano che il carcere, che dovrebbe essere un luogo che priva della libertà e che dia, allo stesso tempo, cura alla persona dal punto di vista affettivo, psicologico; un luogo che attraverso una importante opera di risocializzazione sia in grado di riconsegnare il reo alla società civile come un nuovo uomo, possano permettere che uomini e donne ristretti nei nostri istituti di pena, si autodistruggono, la loro personalità persa e la dignità calpestata? Non si comprende che così facendo non si porterà la persona a comprendere il proprio sbaglio, anzi, questo si sentirà vittima di un sistema sbagliato.

Avendo conoscenza del carcere abbiamo cercato quindi di interpretare i modi di fare di questi uomini, apparentemente strampalati e fuori dalla consuetudine nei modi di fare.

Il carcere, infatti, è organizzato in modo tale da trasformare uomini pensanti in perfetti robot; è dato scientifico che un uomo costretto a eseguire ogni giorno gli stessi movimenti viene poi condizionato con il mondo esterno, è il caso degli impiegati delle fabbriche costretti a estenuanti ore di lavoro ripetendo gli stessi movimenti ed è il caso dei detenuti costretti a oziare giorno dopo giorno in celle così piccole che è traumatico pensare di organizzare la propria vita in simili condizioni.

Abbiamo parlato con chi il carcere l’ha subito da detenuto o con chi lo vive come volontario prendendosi cura di persone che vivono le condizioni più disparate e quello che viene fuori è uno spaccato di realtà difficile anche solo a immaginarlo.

La difficoltà ad esempio trovata nella deambulazione è dovuta agli spazi assai limitati, immaginiamo di chiudere un animale in gabbia liberandolo dopo anni, non potrebbe mai essere per come vi è entrato, viene nociuta la capacità di comprendere lo spazio e il tempo.

Un’altra cosa che non ha attinenza con nessun senso logico è la mancanza di colori in carcere; si guarda solo il grigio dei muri di cinta, il nero dei blindati, l’azzurro forte delle celle.

È capitato una volta di ospitare, presso il nostro centro, un detenuto in permesso premio e questo si è immerso nella vasca da bagno per ore per potere assaporare quel senso di benessere che può dare  l’acqua calda; una delle tante illogicità del carcere è infatti la mancanza di acqua calda, qualsiasi sia la stagione sono costretti a lavarsi con l’acqua fredda prefigurandosi una vera e propria tortura psicologica.

Abbiamo visto persone fermarsi davanti l’ingresso di una stanza perché anche la loro percezione è compromessa; proviamo a spiegarci meglio…in carcere, all’ingresso di ogni cella, corridoio, doccia, palestra, addirittura in chiesa vi sono dei cancelli in cui ci si deve fermare obbligatoriamente e questo “muro” rimane così impresso nella mente dell’uomo che non si riesce più a vedere la realtà e la realtà è che una volta fuori dal carcere quei cancelli non ci sono fisicamente eppure, psicologicamente, rimangono impressi nella loro testa.

Spiegare quindi cosa accade nella testa di un uomo è cosa assai complicata, facciamo nostre le parole trovate in un libro che provando a descrivere il carcere lo ha fatto così: …Quello che è certo è che: “Il carcere è un momento di vertigine. Tutto si proietta lontano: le persone, i volti, le aspirazioni, i sentimenti, le abitudini, che prima rappresentavano la vita, schizzano all’improvviso da un passato che appare subito remoto, lontanissimo, quasi estraneo”

Buona meditazione!

Sac. Antonino Scilabra

 

Carmelo Vetro

Lascia un commento