9.21 I pestaggi di Santa Maria Capua Vetere

 

Non si placa l’eco di quanto successo al carcere di Santa Maria Capua Vetere.

Secondo fonti certe, nei giorni dell’8 e 9 marzo dello scorso anno a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza, per via della pandemia, in molte carceri italiane sono scoppiate delle rivolte da parte dei detenuti.

Premettiamo che noi dell’APS San Giuseppe Maria Tomasi (Associazione promozione sociale) siamo contro ogni forma di violenza e non giustifichiamo nessuno di chi la pratica, ma vorremmo riflettere sul perché in Italia possono accadere determinati fatti.

Intanto chi conosce un po’ il carcere sa benissimo che le notizie all’interno vengono veicolate col conta gocce, spesso sono distorte rispetto alla realtà e questo contribuisce al fatto che ogni detenuto, a secondo del proprio stato emotivo, elabori nella propria mente un’idea anche inverosimile di quanto accade fuori dalle mura, specie pensando ai propri familiari.

Il fattore scatenante che ha portato alla rivolta non lo conosciamo con esattezza, oggi si va alla ricerca del colpevole o semplicemente di “un colpevole” ma forse la verità è che l’abuso fatto da alcuni agenti non è legato in maniera isolata alle proteste nate per l’emergenza pandemica, probabilmente è il frutto di un sistema penitenziario che non funziona e che si tiene in piedi per via di tutte quelle regole non scritte che diventa l’unica forma di gestione da parte di direttori e agenti.

A questo punto ci chiediamo se sia possibile credere che all’interno delle carceri gli abusi fisici e verbali siano una prassi consolidata e che troppe poche volte vengono fuori. Il carcere essendo un sistema chiuso e non incline ad ospitare volontari esterni diventa un ghetto dove ogni cosa nasce e muore all’interno nella piena omertà di tutti quanti.

Qualcuno dice e dirà, leggendo anche il nostro articolo, che non bisogna generalizzare e che esistono agenti onesti; siamo d’accordo, ma gli agenti onesti si limitano a fare il proprio lavoro utilizzando tecniche di comportamento che non offendono, ne ledono la dignità di alcuno, ma allo stesso tempo questi stessi agenti non ci metteranno mai la faccia per denunciare loro colleghi che magari non hanno la stessa moralità, è la regola non scritta purtroppo, quindi onesti, ma complici.

I detenuti, dal canto loro, hanno certamente sbagliato a adottare forme di protesta violenta, incendiare i materassi è una forma di rappresaglia che non può essere giustificata perché il senso di questi gesti è creare scompiglio; un detenuto sa che l’amministrazione in questi casi si ritrova a fronteggiare un’emergenza e che spesso non è attrezzata innescando così il valzer dei trasferimenti o l’occupazione di celle di isolamento.

A noi sembra di assistere a due facce diverse e uguali, cambiano le etichette (buoni e cattivi) ma di fondo c’è l’uomo capace di ogni gesto violento.

Alcuni “esperti” di fenomenologia, indicano quelle rivolte come una strategia adottata dalla mafia per mercanteggiare la pax con le direzioni ottenendo trattamenti di favore! A noi persone umili, ma che abbiamo conoscenza del mondo carcerario, sembra una ricostruzione assai fantasiosa e far credere questo, al mondo che ci guarda, diamo l’idea di un paese privo di regole che di certo non ci fa guadagnare fiducia.

Per fortuna la cosa pubblica è oggi amministrata da una Ministra della Giustizia che non ha pensato di fare inutile propaganda, ma che si è recata personalmente a Santa Maria Capua Vetere per ristabilire, con la sua presenza, il vero senso della rieducazione che deve rispettare ciò che la Costituzione detta; ogni pena deve volgere alla rieducazione e mai alla soppressione della dignità di alcuno.

Sulla stessa scia ovviamente si trova il nostro presidente del consiglio che ripercorre la stessa tesi della Ministra: <<non può esserci giustizia dove c’è abuso, e non può esserci rieducazione dove c’è sopruso>> ha detto Draghi nel suo intervento.

Ma dopo i fatti di Santa Maria Capua Vetere fanno sentire la loro voce anche il coordinamento dei Magistrati di Sorveglianza invocando una riforma penitenziaria che faccia ricorso alle pene alternative in maniera riqualificante attraverso percorsi rieducativi, risocializzativi e riparativi.

Dal punto di vista cristiano invece, riteniamo che sia estremamente necessario riportare nei luoghi di detenzione una certa moralità rispettosa delle dignità. Lo stato non può adottare comportamenti lesivi alla dignità umana o addirittura non può diventare “carnefice” e il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria è lo Stato! Riteniamo che in molte carceri italiani si dà valore alla persona attraverso un percorso di reinserimento nella vita sociale e con strumenti che possano far comprendere cosa significa convivere in una società civile, ma in alcuni luoghi, come Santa Maria Capua Vetere, di certo vengono usati metodi assai vergognosi ed è davvero raccapricciante assistere a questa sorta di punizione gratuita, qualcosa che dovrebbe fare indignare piuttosto che intentare inutili giustificazioni davanti a un’evidenza così grave, basti vedere l’intervista con la direttrice del carcere.

Dopo i fatti incresciosi, dunque, assistiamo all’interesse da parte della classe politica, di alcuna schiera di Magistrati e Avvocati che invocano riforme severe per ridare dignità all’esecuzione penale, ricorrendo magari alle pene alternative e addirittura all’indulto e all’amnistia.

A fronte di tante belle promesse non ci resta che rimanere in attesa che alle parole seguano i fatti.

 

Buona Mediazione!

Don Vito Scilabra

Carmelo Vetro

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