Articolo 5/2020

La perdita del nostro amico Ibrahim è stato un modo per testare e confermare, che il Sistema Centrale del SIPROIMI non è un sistema atto solo all’accoglienza in forma fredda e distaccata, ma la lettera che segue, inviataci dal Servizio Centrale, è la prova che i professionisti che lavorano per l’accoglienza trasformano il loro impegno quotidiano in qualcosa di più grande rispetto al “dovere” burocratico. È segno di grande umanità e di vicinanza e dimostra che davanti alla perdita della vita tutti ci sentiamo più poveri e il comune denominatore diventa l’immenso dispiacere di non potere avere più con noi il nostro amico Ibrahim.

Grazie a quanti in queste ore ci fanno sentire la propria vicinanza, grazie agli operatori, operatrici del Servizio centrale del SIPROIMI.
Di seguito la lettera di vicinanza ricevuta, è un nostro modo per dirvi GRAZIE.

<< Care colleghe e colleghi dello SPRAR/ Siproimi di Agrigento,
siamo profondamente addolorati per la prematura morte di Ibrahim Gaye. Non lo conoscevamo personalmente, ma a distanza di tanti anni dall’avvio del nostro sistema di accoglienza risulta ancora tanto difficile da accettare che una persona, giunta in Italia per cercare protezione e costruirsi una nuova vita, proprio in Italia debba trovare la morte. È questo che maggiormente ci addolora, così come l’assurdità delle circostanze, considerato che Ibrahim stava intraprendendo un bel percorso di autonomia e di indipendenza.
Se proviamo tutto questo noi, che non avevamo con Ibrahim un rapporto quotidiano, possiamo immaginare quanto siate addolorati tutti voi, operatrici e operatori dello SPRAR, amici e conoscenti di Ibrahim.
Non è semplice operare per l’accoglienza, non è semplice farlo quando siamo investiti da tragedie di questo genere, così come quando quotidianamente raccogliamo le storie, i bisogni, le aspettative, i sentimenti e le emozioni di quanti accogliamo. Stiamo vivendo un periodo complesso e difficile, di questo siamo tutti consapevoli. Proprio per questo, proprio a partire dalla breve esistenza di Ibrahim, dobbiamo avere la consapevolezza che stiamo dalla parte giusta, che solo impegnandoci oggi, domani e dopodomani per l’accoglienza potremo contribuire alla costruzione di un altro mondo possibile, in cui i vari Ibrahim non avranno neanche più bisogno di cercare accoglienza e protezione lontano da casa e potranno sentirsi a casa ovunque.
Vi mandiamo un caro saluto chiedendovi di estenderlo anche ai suoi amici e conoscenti ai quali idealmente ci stringiamo.
Le colleghe e i colleghi del Servizio Centrale>>
TUTTO LO STAFF
CENTRO DI ACCOGLIENZA
SGM Tomasi ONLUS DI AGRIGENTO

Articolo 4/2020

Gaye Ibrahim

Ciao Ibrahim, oggi tutti noi abbiamo deciso di rendere omaggio alla tua persona, non avremo mai voluto farlo per questa circostanza, ma la vita è qualcosa di imprevedibile che dobbiamo accettare con tutto quello che ci riserva e allora voglio parlarti come non ho mai fatto. Mentre scrivo non puoi esserci, non posso ascoltare i sogni della tua vita o le tragedie che hai dovuto subire nonostante la tua giovanissima età, però posso leggerle e da ogni parola scritta di te si capisce il ragazzo che sei stato e quanto hai lasciato; sei stato un ragazzo allegro con la passione per il calcio che dicevi essere il tuo sport in assoluto preferito, ma anche un cantante, un attore teatrale con i tuoi improvvisati spettacoli e canzoni in dialetto.
Ci piace pensarti con il tuo sorriso, con la capacità che avevi di mediare, con la voglia costruire il tuo futuro rispettando questo paese che ti aveva accolto e studiando per conoscere l’italiano.
Ripetevi che nel mondo c’è tanta gente buona e avevi ragione caro amico.

Ibrahim era un ragazzo nato in Gambia, scappato dal suo villaggio quando era poco più che un bambino; ha attraversato il deserto per poi essere imprigionato in Libia; la storia di tanti che scappano da una situazione drammatica per conoscere poi le atrocità delle carceri Libiche, ma oggi vogliamo parlare solo di Ibrahim.

Sei scappato dal Gambia per trovare un porto sicuro, un paese che ti permettesse di realizzare i tuoi sogni e, nonostante i tuoi 19 anni, sei riuscito a far conoscere la tua anima così nobile; Sai Hibrahim
oggi tutti parlano di te, saresti stato felice, pensa anche la Pausini con cui avreste dovuto cantare assieme ti ricorda; le più grandi testate giornalistiche ti pensano e noi ci uniamo a questo pensiero con un grazie, perché sei stato grandioso a combattere, proprio come il calciatore che eri, la partita che è stata la vita insegnandoci che la vita va affrontata con il sorriso.

Oggi al Centro di accoglienza, mentre si prepara quanto necessario per il rimpatrio della salma, ci si sofferma a pensare alla tua storia; pensiamo alla tua simpatia quando ti improvvisavi a cantare Rapper e ti calavi nella parte agghindandoti con orologi e collane fino a contagiarci con la tua allegria; si ricorda il tuo fare simpatico e la voce da adolescente; siamo felici di essere stati la tua famiglia, la tua serenità, tuoi amici.

Adesso riposa in pace Hibrahim Gaye, in questo mondo hai già fatto la tua parte!

Don AntonVito Scilabra
Carmelo Vetro

Questo è tutto ciò che ci rimane di Ibrahim, strofe di una canzone scritta per la Pausini, di cui era grande fan, immaginando di poterla un giorno cantare con lei.
Per noi è un documento prezioso perché scritta di suo pugno e che abbiamo voluto pubblicare esattamente come lui l’ha scritta per fare in modo che almeno oggi tutti possiamo cantare la sua canzone. Per te amico….

Articolo 3/2020

In spem nisi opportuna – educare alla speranza
Il significato originale ed etimologico della parola educazione viene dal latino e-ducere che significa letteralmente condurre fuori, quindi liberare, far venire alla luce qualcosa che è nascosto.
L’idea deriva dalla filosofia platonico-socratica, secondo la quale imparare altro non è che un “ricordare” dalla nostra passata esistenza, e che tale conoscenza deve essere “condotta fuori” da noi tramite la maieutica, letteralmente arte del far partorire, ovvero condurre fuori, e-ducere. Con Emerson e le scuole a lui ispirate, invece, l’educazione si prospetta anzitutto come autoeducazione e
come auto coltivazione che dura per tutta la vita.

In questo senso l’educare coincide nel guidare e formare qualcuno. L’educazione va quindi distinta dalla istruzione, intesa come insieme delle tecniche e delle pratiche per mezzo delle quali un individuo viene istruito mediante insegnamento teorico di nozioni di una disciplina, di un’arte, di un’attività. Tuttavia istruzione ed educazione possono fondersi quando si cerca di favorire la comprensione autonoma da parte dalle persone, instaurando con loro un dialogo “esplorativo” e stimolando la loro creatività nell’apprendimento.
Come sempre, prima di scrivere un nostro articolo, cerchiamo di capire cosa ci succede attorno e quali notizie vengono riportate e spesso, solo facendo una ricerca sulle news che escono, ad esempio, da “ristretti orizzonti” o da altre piccole realtà che giornalmente vivono con gli emarginati, prendiamo atto come puntualmente si preferiscono notizie di poco conto a storie di tragedie umane.
Per tale ragione abbiamo pensato di parlare di educazione; educazione rivolta a chi ha sbagliato, educazione per chi cerca di educare chi ha sbagliato, educazione rivolta ai ragazzi invitandoli a istruirsi, a ragionare per formarsi una propria idea quanto più possibile vicina alla realtà.
Il centro di ascolto è frequentato da gente che la sofferenza l’ha conosciuta; chi ha vissuto in carcere, chi ha dovuto attraversare il deserto per poi essere imprigionato nelle galere libiche e approdare in Italia, o in altri porti di Continenti “civilizzati”, solo dopo anni di abusi e soprusi. Noi crediamo di conoscere la realtà rispetto a quello che si cerca di inculcare ai cittadini che semplicemente leggono un giornale, ascoltano i salotti politici o tifano per una ideologia politica; nostro malgrado ci troviamo spesso a indignarci, letteralmente indignarci, per l’abilità con cui una notizia viene manipolata, facendola divenire più o meno grave a seconda della esigenza del momento.

Perciò non vogliamo sforzarci di scrivere cosa succede in quei territori, non vogliamo descrivere le atrocità che nostri fratelli subiscono perché ci sembra di essere insensibili davanti a immani tragedie e allora abbiamo deciso di descrivere tutto con le parole di Samba (la storia verrà pubblicata di seguito) un ragazzo della Nuova Guinea che racconta la sua storia, la storia di tanti.
Samba oggi vive presso il nostro centro di accoglienza, non più come ospite, ma lavorando come operaio, un sopravvissuto che ancora oggi fa fatica a ricordare e a parlare di quanto ha vissuto.
Buona Lettura e soprattutto buona meditazione!

Don AntonVito Scilabra
Carmelo Vetro