11/20 “dei delitti e delle pene”

.“Col nome di
tortura non intendo una pena data a un reo per sentenza, ma bensì la pretesa
ricerca della verità co’ tormenti… I fautori della tortura cercano di calmare
il ribrezzo che ogni cuore sensibile prova colla sola immaginazione del
tormento. Poco è il male dicon essi che ne soffre il torturato, si tratta d’un
dolore passeggero per cui non accade mai l’opera di medico o cerusico, sono
esagerati i dolori che si suppongono. Tale è il primo argomento col quale si
cerca di soffocare il naturale raccapriccio che alla umanità sveglia la idea
della tortura”

Questo è un breve passaggio tratto da, ne dei delitti e delle pene, di Cesare Beccaria individuando
l’indifferenza umana davanti alla tortura perpetrata ai danni del condannato.

Impressiona la vicinanza di pensiero che esisteva quando Beccaria,
a proposito della tortura,  scrisse il
saggio (1764) e quella odierna.

L’uomo nei secoli è riuscito in opere davvero straordinarie dando
prova di una intelligenza che diventa sempre più fine; oggi non esistono limiti
nella ricerca, è praticamente possibile creare, inventare, raggiungere ogni
obiettivo.

Eppure quando si parla di temi sociali molto vicini tra loro
quali: carcere e migranti si assiste ad un indegno gioco da parte dei poteri
forti, facendo a gara su chi è più severo nel condannare o respingere i
migranti.

Si è perso il senso della ragione perché quel che conta è
allontanare il “male” dalla società perbenista e si cerca di fare un vero e
proprio terrorismo psicologico sulle persone.

Per noi operatori del centro il Vangelo è il nostro riferimento,
Gesù Cristo diceva di amare i nostri fratelli e questo è il faro su ci orientiamo,
oltre che la Costituzione Italiana e le leggi. Non si possono giustificare i
reati in una società civile, è ovvio, ma ogni pena deve essere commisurata e
soprattutto lo Stato non può adottare comportamenti punitivi e vendicativi nei
confronti di chi per qualsiasi ragione ha rotto il patto sociale o verso uomini
che scappano da territori dove succedono cose indicibili.

Molti esprimono indignazione, paradossalmente, quando un Giudice,
conformandosi alla legge,  concede i
domiciliari a detenuti in fin di vita e che magari hanno trascorso metà della
loro vita in carcere, mentre gli stessi non si creano nessuno scrupolo quando
qualcuno muore sotto la propria custodia.

Si giustificano le torture psicologiche (perché non dimentichiamo
che il carcere così com’è oggi organizzato è utile solo a fare incattivire le
persone, non le rieduca affatto e non li aiuta nel reinserimento sociale) con
la pericolosità sociale;

Ma la
Giustizia non può essere vendicativa; un Giudice disse << La migliore  medicina contro il male è l’amore e le attenzioni>> qualcuno gli domandò: << e se non funzionano?>> rispose: <>.

La nostra società oggi non riesce più a distinguere la crudeltà
dalla giustizia e si alimenta una continua lotta su chi è più rigoroso.

Le famose leggi emergenziali, quali l’introduzione del regime del
41 bis, nascevano come extrema ratio per contrastare l’azione delle
associazioni; a distanza di trent’anni oramai sarebbe utile prendere atto che
il cosiddetto “carcere duro”, così com’è concepito, rappresenta un luogo di
tortura psicologica, ma i nostri politici hanno lo stesso atteggiamento di chi
affermava che << … Poco è il male,
dicono essi, che ne soffre il torturato, si tratta d’un dolore passeggero
…>>;

di certo non si tratta di violenze fisiche, o meglio non ci sono
solo quelle, ma ciò che “uccide l’anima” di un uomo è anche la violenza
psicologica pensata e perpetrata giorno dopo giorno esattamente come la goccia
cinese utilizzata come supplizio per i
condannati.

Vogliamo
concludere facendo nostre i pensieri di tre Magistrati a proposito del carcere.

Gherardo
Colombo
<<Ho cominciato a pensare che
il carcere non fosse più compatibile con il mio senso della giustizia, la mia
concezione della dignità umana, la mia interpretazione della
Costituzione… sentivo tutta l’ingiustizia della prigione
Sono convinto che il carcere, così com’è, è in
contrasto con la Costituzione. L’articolo 27 dice che ”le pene non possono
consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”… Basta mettere piede in
qualsiasi carcere, salvo rare e parziali eccezioni, per rendersi conto che le
condizioni in cui vivono i detenuti lo contraddicono scandalosamente
>>

Luciano Violante <<Non credo che oggi ci si possa
emancipare dal carcere in maniera assoluta. Però sono convinto che possiamo e
dobbiamo liberarci dal carcere in maniera relativa, rompendo il monopolio della
pena carceraria, limitando la galera al massimo e solo ai casi in cui non è
possibile fare altrimenti
Riformando
l’intera concezione della pena, che è rimasta ferma al Settecento, quando
nacquero le istituzioni totali… si è ancora fermi a un’idea antica, secondo la
quale chi rompe la fiducia della comunità merita di essere estromesso dalla
società, spinto in un luogo ai margini, com’è il carcere… Occorre al contrario
virare su una “concezione moderna: la pena dovrebbe servire a ricostruire
la relazione. Già nell’Antico testamento c’è un concetto che è stato sepolto
sotto millenni di pratica dell’emarginazione del colpevole. La parola tsedakah
viene tradotta con il termine giustizia, ma in realtà significa “ristabilire il
rapporto” …Riconciliare chi ha infranto le regole della comunità con la
comunità stessa>>

 

Giovanni Maria Flick <<Un modello “da superare, perché, in molti casi,
non rispetta la dignità del detenuto. Non garantisce quei principi che pure
sono scritti, nero su bianco, nell’articolo 27 della Costituzione”.

Flick sostiene che il
primo impegno è assicurare quelle che definisce “condizioni culturali: la
società deve essere in grado di assumersi un rischio. Di accettare che potrebbe
accadere che qualche detenuto che sconta la pena in casa torni a commettere
reati. Ma si può fare in modo che ciò, tendenzialmente, non accada. O che si
verifichi il meno possibile. Innanzitutto non abbandonando il condannato a sé
stesso. Poi, perché un modello del genere possa essere messo in pratica, è
necessario che la politica la smetta di utilizzare le carceri e il sistema
penale come strumento di persuasione e di paura… C’era
un tempo in cui la saggezza del nostro sistema consentiva di distinguere l’uomo
dal fatto che ha commesso
>>.

 

Che
gli uomini di buona volontà traggano le loro conclusioni…