Art. 7/21 L’inaccettabile “errore”

 Art. 7/2021

L’inaccettabile “errore”

 

<<I dati drammatici per ingiusta detenzione riportati interamente dall’associazione errorigiudiziari.com. In prima posizione c’è il distretto di Napoli con 101 casi nel 2020. E lo stesso distretto è tra le prime tre posizioni da 9 anni consecutivi. E per 6 volte su 9 è stato al primo posto. In più, detiene il record di casi rag giunti in un anno: 211 nel 2013. Al secondo posto c’è il distretto di Reggio Calabria con 99 casi, terza Roma con 77 casi. Il record di spesa nel 2020 è detenuto dai distretti di Reggio Calabria e Catanzaro, con rispettivamente 7.907.008 euro e 4.584.529 euro. In terza posizione Palermo con 4.399.791 euro. Su base pluriennale Catanzaro è il primo distretto italiano per entità di indennizzi per ingiusta detenzione: soltanto negli ultimi 9 anni lo Stato ha versato quasi 51 milioni di euro. Dal 2012 a oggi, la Calabria ha assorbito più del 35% del totale degli indennizzi nazionali.>>

Vogliamo aprire la nostra riflessione odierna sui drammatici dati relativi all’ingiusta detenzione. Questi si commentano da soli e necessitano di un’attenta valutazione sia dagli organi istituzionali, sia dal “semplice” cittadino.

L’ingiusta detenzione è strettamente collegata alla drammaticità che vivono i familiari perché non dimentichiamo che la pena non la sconta solo chi si trova in carcere (molte volte poi assolto perché ritenuto innocente), ma viene subita ancora più ingiustamente dalle persone a lui vicine.

Con l’articolo di oggi abbiamo deciso di pubblicare stralci di lettere e pensieri di familiari che ogni giorno convivono con un familiare ristretto e stralci di storie di persone che sono state ingiustamente detenute…

<< chi vi scrive è una moglie e mamma di due gemellini. Sono sposata con G. e si trova in carcere dal 17/3/2004, da quel giorno inizia il mio calvario perché senza di lui mi sentivo persa, non c’era più un senso ma sentivo solo un grande vuoto.

Dopo un paio di mesi, con la sentenza di primo grado, gli viene dato l’ergastolo! Non credevo più a niente, mi sentivo mancare il respiro… Dare l’ergastolo è come farti smettere di vivere, di sognare perché quella sentenza viene data non solo a chi quella condanna la deve scontare, ma anche a chi ama davvero quella persona: l’ergastolo si sconta insieme.

In appello l’ergastolo, infatti, gli viene tolto per insufficienza di prove. E li, lacrime di gioia…ringraziavo Dio… in Cassazione viene accreditata la testimonianza di un pentito, basata sul “sentito dire” e a mio marito viene ridato l’ergastolo, il fine pena mai.

Dopo la Cassazione non abbiamo avuto la possibilità di difenderci, ma questo non ci ha impedito di realizzare alcuni dei nostri sogni: sposarci e avere dei figli. Due gemelli, un maschio e una femmina, nati con l’inseminazione artificiale dopo una lunghissima lotta contro la burocrazia e la filosofia che un condannato non ha più nemmeno il diritto a diventare padre… ogni volta che telefona gli chiedono “papà quando torni a casa”? e lui, con un nodo alla gola, risponde “quando il papà finirà di lavorare tornerà a casa e non vi lascerà mai più>>

E ancora la storia di una ragazza bulgara assolta dopo anni di detenzione…

<< Sono stata in carcere pur essendo innocente per quasi tre anni. Accusata di reati gravissimi, ma mai commessi. Alla fine, la mia colpevolezza non è stata riconosciuta.

Quando ero poco più che una ragazza, all’età di 23 anni, sono stata arrestata dai carabinieri insieme con altre quattro persone perché coinvolta in un’inchiesta giudiziaria i cui reati ipotizzati erano molto pesanti: associazione per delinquere, riduzione in schiavitù, sfruttamento della prostituzione e sequestro di persona. Era il 2013.

A tre anni dall’arresto, nel 2016, il processo davanti alla Corte di Assise si concluse con l’assoluzione. Durante il dibattimento si era potuto appurare che le accuse nei miei confronti erano state inventate da un’altra donna che si era voluta vendicare dopo un litigio.

La Corte d’Appello accolse la domanda di risarcimento per ingiusta detenzione disponendo una liquidazione economica…

Il Procuratore generale della Corte d’Appello, però, si era opposto al riconoscimento della parte economica.  Il PG lamentava il fatto che la Corte distrettuale mi avrebbe condannato perché, in sede di interrogatorio, mi sono “limitata” a protestarmi innocente spiegando che ero finita nell’indagine a causa di un’accusatrice la quale nutriva sentimenti di astio nei miei confronti per un pregresso litigio, senza però addurre elementi concreti a sostegno della tesi accusatoria».

Nel febbraio 2021 la Cassazione ha respinto il ricorso del Procuratore Generale, confermando la legittimità del risarcimento.

Secondo i giudici della Suprema Corte, infatti, «nel caso di specie non emergono – né il Procuratore generale ricorrente ne dà conto – profili di silenzio o di mendacio, o di reticenza da parte della giovane donna: non il silenzio, non essendosi la stessa avvalsa della facoltà di non rispondere; non il mendacio, non essendo state indicate circostanze fattuali incompatibili con le sue dichiarazioni; non la reticenza».

Non è un caso che anche Papa Francesco interviene sui molti casi di innocenti finiti in carcere costretti a rinunciare al bene più grande che è la libertà, agli affetti dei propri cari, alla carriera e vorremmo aggiungere: alla dignità calpestata. Gesù fu condannato a morte con una sentenza scritta a tavolino perché rappresentava una minaccia per il potere politico e religioso: “i dottori della legge si sono accaniti contro di lui: è stato giudicato sotto accanimento, con accanimento, essendo innocente“.

La storia di Andrea (nome di fantasia) racconta il dramma dell’essere figlio di un detenuto e rappresenta la storia di tanti altri figli di persone che convivono con questo marchio. Se vivi in contesti del sud per alcuni versi è “normale” avere il genitore o un parente in carcere; non ci si scandalizza più di tanto specie se siamo negli anni ’90 dove questa sorta di connivenza tra il bianco e il nero era accettata e ben plasmata all’interno del popolino.

Quando Andrea aveva nove anni, il padre, a causa di problemi con la giustizia si è dato latitante.

Non sapeva cosa significasse quel termine che mai aveva sentito nominare né in casa, né a scuola.

La madre di Andrea, una maestra di 37anni che si ritrova di colpo sbalzata in una realtà del tutto sconosciuta, cercava in tutti i modi di proteggere i tre figli piccoli dalle continue perquisizioni notturne da parte delle forze dell’ordine. Andrea osserva in silenzio e impaurito il trambusto che quella gente con i cappucci crea ogni notte nella casa che di norma è sempre ordinata e profumata, ma quei signori mettono tutto a soqquadro senza cura. Ha fissa l’immagine della madre, che apre la porta e seduta con i tre bimbi attorno a lei aspetta rassegnata nell’attesa che finiscano di cercare, di gridare, di chiedere, di minacciare << presto signora le toglieremo i figli se non ci dice dov’è suo marito>>.

Andrea è oramai adolescente quando il padre viene arrestato. Sono passati molti anni e ricorda l’immagine di suo padre sui giornali, su tutte le tv locali e nazionali. Clamore mediatico, persone che spettegolano, gente che addita <<quello è il figlio di tizio>>.

Ha 14 anni quando rivede suo padre in carcere. Sono emozioni indescrivibili. Andrea è un figlio attento, rispettoso e molto intelligente nell’essere capace a discernere le vicende giudiziarie del padre, ovviamente non condivise, dal rapporto personale con lui.

Va a trovare il genitore detenuto in una struttura del nord per un’ora al mese; non può toccarlo, non può abbracciarlo o lasciarsi andare a parole affettuose, può solo vederlo attraverso un freddo vetro che li separa; eppure, neanche quella tragicità di “viversi” scoraggia Andrea nel dimostrare il profondo amore per il padre. Gli scrive due volte a settimana, gli racconta della scuola, degli amici, dei suoi progetti di vita…

Andrea “conosce” così il padre. Attraverso le parole, le raccomandazioni e attraverso il suo sguardo scopre un uomo buono, affettuoso, capace di spiegare al figlio il male che alcune scelte di vita portano non solo a chi li fa, ma anche e soprattutto ai familiari vicini e a chi quel danno lo subisce. Fatica ad associare il padre ai racconti che di lui fanno i giornali.

Diciassettenne, inizia a volerci capire di più sulle vicende. Inizia a parlare con gli avvocati, a leggere accuse, difese e sentenze. Prende appunti, chiede spiegazioni al padre, martella di domande e di “perchè” gli avvocati.

Intanto non è più un ragazzino, finisce la scuola e inizia a costruire la sua carriera lavorativa. Fare il Geometra è per lui il mestiere più bello, condivide con il padre le esperienze lavorative che lo portano in giro per l’Italia. Un mese è formato di 720h e Andrea aspetta le 719 ore al mese che lo dividono dall’incontro con il padre raggiungendolo in qualsiasi parte d’Italia fosse detenuto.

Negli anni ha imparato i gusti del padre, i cibi a lui graditi, l’abbigliamento comodo lontano dalla giacca e cravatta che ricorda o rivede nelle foto di anni prima.

Andrea ha 22 anni quando presenta al padre, attraverso una foto, la ragazza di cui si era innamorato, è diventato il suo migliore amico. Il padre non gli ha mai fatto percepire la stanchezza o la tristezza, gli ha sempre riservato grandi sorrisi nonostante il luogo per nulla accogliente.

Come nella vita di ognuno esiste un momento dove ci si ferma a fare delle considerazioni sugli anni passati o sul senso della vita.

Lui ha capito che nonostante si sia totalmente assoggettato alla legge e al vivere da buon cittadino, in alcuni contesti se sei figlio di… ci rimarrai sempre. Andrea è stato un professionista apprezzato fuori dalla propria regione, ma additato nel suo paese… col tempo ha capito che la cultura purtroppo è il sale della vita e andrebbe diffusa senza “pietà” in tutti gli ambienti. Mai nessuno come Pirandello è riuscito nel descrivere “l’io” delle persone ne <<uno, nessuno e centomila>> dove la realtà perde la sua oggettività e si sgretola nell’infinito vortice del relativismo.

Siamo nel mese di luglio di un anno ormai lontano, Andrea percorre centinaia di Km per andare a trovare il padre. In Istituto gli dicono che è stato ricoverato. Si precipita in ospedale. Attende sei ore prima che gli venga accordato il permesso di vedere il padre per 10min. senza il vetro divisorio, ma con la presenza massiccia di agenti della penitenziaria. Accetta. Abbraccia il padre dopo oltre 12anni. Fino ad allora l’aveva solo visto attraverso un vetro divisorio. Padre e figlio che non si staccano da quell’abbraccio, emozioni, promesse, rassicurazioni e per la prima volta le scuse del padre per non esserci mai stato. Dieci minuti passarono e i due si lasciarono con la promessa di rivedersi presto. Erano inconsapevoli che quello fosse un addio. I medici informano Andrea del brutto male che oramai logorava il padre, non c’erano speranze alcune. Inizia un altro calvario fatto di attese, di burocrazia infinita, di tribunali che nominano medici per verificare lo stato di salute, di altri permessi perché medici di parte possano a sua volta verificare, attese di riscontri clinici, condizioni di salute da monitorate ogni ora, il direttore sanitario della struttura detentiva che chiede il ricovero urgente viste le condizioni… nella drammaticità durata un mese arriva agosto, altre 719 ore sono passate, Andrea con la madre e i fratelli possono correre dal loro caro trasferito nel frattempo in altra struttura detentiva e quando si presentano per il tanto agognato colloquio questi vengono condotti in obitorio. In un attimo tutto era finito. La burocrazia dei vari tribunali non aveva ancora fatto il suo corso per decidere cosa fare che già tutto era finito. Il padre di Andrea si era consegnato a miglior vita. La promessa di rivedersi presto era stata non mantenuta.

Questo racconta il dramma e la tristezza che alcune scelte di vita comportano e ciò che si è costretti a vivere, ma vuole anche invitare ad una riflessione profonda perché di casi come il padre di Andrea, nelle carceri italiane, ne esistono e centinaia e lo Stato dovrebbe sempre garantire ai suoi “ospiti” ogni tipo di assistenza e snellire, quando si tratta di vivere o morire, la burocrazia. Vuole fungere da prevenzione per i giovani che si lasciano affascinare da uno stile di vita al di sopra delle righe senza sapere che tale illusione porta solo alla distruzione; vuole inoltre essere spunto di riflessione per chi è comunque impegnato nell’importante compito di amministrare la giustizia.

Buona Meditazione!

Sac Antonino Scilabra

Carmelo Vetro